lunedì 4 agosto 2008


Ultima domenica di giugno, a dispetto della norma l'estate era iniziata già da un pò, da molto prima del convenzionale 21 giugno. In quei giorni però il brutto tempo sembrò risvegliarsi d'improvviso per regalarci un noioso weekend di pioggia; non molta per la verità, ma tanta quanto bastava per impedire un tour in moto. Da qualche tempo infatti era ormai diventata un'abitudine, per me e la mia ragazza, girovagare in moto per la Toscana, alla scoperta di quei luoghi che troppo spesso sono più famosi ai turisti che ai cittadini del posto. Luoghi che forse non percepiamo più come espressione concreta della culura e delle tradizioni di un popolo, ma che piuttosto sembrano essere stati creati appositamente da un pubblicitario fittizio col solo scopo di immortalarli nella cartoline o nei depliant per la promozione turistica. Come se dietro di essi non esistesse la storia di uomini, di quegli uomini semplici che li hanno creati, plasmati, trasformati. Che per secoli gli hanno attribuito significati, ne hanno fatto dei simboli su cui poi hanno strutturato il proprio immaginario, la propria identità. Adesso l'unico immaginario a cui questi simboli appartengono è l'immaginario fittizio della Toscana da cartolina, da vendere nei pacchetti vacanza per un finesettimana in agriturismo.
Rincuorati dall'apparire di un timido sole nelle prime ore del pomeriggio di quella domenica, decidemmo di prendere comunque la moto per improvvisare un tour senza una meta precisa, con il solo impertivo di fermarsi alla prima vera pioggia che avremmo incontrato. Siamo partiti così da Sarteano, il paese in cui abito: direzione la ss2 Cassia. Raggiunta la Val d'orcia lo spettacolo era unico, inutile contraddirre il bizzarro pubblicitario. Le colline erano tutte ricoperte dal grano quasi maturo. Era una distesa di dune dorate, mosse da leggere raffiche di vento. Sembrava che la strada non esistesse, la senzazione era quella di galleggiare sospesi sulle spighe rigogliose. Raggi di sole sparsi qua e là rimbalzavano sulle creste umide di quel mare in movimento. Non sembrava neanche di sentire il rumore del motore che girava, il vento ci investiva la faccia portando con se l'odore inebriante del grano bagnato. Quà e la gruppi di storni o di colombi si alzavano al nostro passare, disturbati nel meglio del loro banchetto. Di fronte a noi ognitanto appariva il sole da dietro le nubi, mostrandoci il profilo delle antiche rocche che qualcuno sembrava aver voluto mettere lì per difendere quel grande immenso tesoro. Come se ci venisse proibito di godere di questo spettacolo, siamo stati riportati al presente dal sopraggiungere di un grosso S.U.V. che, perniente intimorito dalle poche gocce d'acqua, ci sfracciava davanti spavaldo, forte dei nuovi valori che lo avevano generato, che nulla avevano a che fare con la magia dello spettacolo a cui avevamo appena assistito. La strada ci portava verso San Quirico, sembrava dovesse venire giù una bufera, ma decidemmo di continuare lo stesso. Proseguimmo lungo la strada fino a raggiungere Buonconvento dove, ispirati da alcuni cartelli stradali, decidemmo di proseguire per Murlo. Il paese era piccolo, e tutto sembrava essere curato nei minimi particolari, la piccola piazza, la rocca, le mura, il tempo sembrava essersi fermato a qualche secolo prima. La sosta fu breve, un giro veloce del paese e poi via, direzione Abbazia di San Galgano. Il viaggio per raggiungerla era ancora lungo, ma ormai il sole si era imposto sulle nubi e viaggiammo più tranquilli. Abbiamo attraversato gran parte della provincia di Siena: la montagnola senese con i suoi boschi, il corso del merse, Monticiano....Tra brevi soste e qualche strata sbagliata siamo riusciti a raggiungere San Galgano alle 6 del pomeriggio.

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